<%image(himalaya hotel.jpg|800|600|himalaya hotel italian style)%>Quota 3.000. C’è zuppa d’aglio all’Himalaya Hotel e una chitarra. Strani abbinamenti.
Non è facile spiegare cosa s’intende in Nepal per “lodge“. Tendenzialmente è una via di mezzo tra un rifugio di montagna e un bed and breakfast. Ognuno c’ha la sua cameretta, il posto più caldo è la cucina, ma in verità forse il posto più caldo è all’esterno visto che anche dimenticando la porta aperta una gran differenza non fa.
La teoria elaborata nel corso del cammino è che più aumenti di quota, più i cessi dei lodge peggiorano e la coca cola aumenta di costo. Eh sì, perchè anche qui, a qualsiasi quota arrivi, quelli del reparto distribuzione di Atlanta una bottiglietta l’hanno fatta arrivare. Spesso con un mulo, molto più spesso sulla schiena di un povero disgraziato. Visto l’impolveramento è possibile, se proprio lo desiderate, che la vostra coca cola sia scaduta da un decennio. Ma per la fatica che è costata dovreste pagarla 100 euro, non 100 rupie.
Nei doko (ceste di bambù piazzate sulla schiena) ci vedi portare un po’ di tutto. Carburante, stoviglie, pannocchie, rifornimenti. Anche la nonna. Giuro. Avercene di nipoti così, che le salite micca scherzano. E nemmeno le discese.
Il torrente di sotto si fa sentire. A spanne durante il monsone questo qui porterà via il mondo. Ma a queste montagne stasera tocca pure sentire il rumore di qualche stonato italiano.
Nigma, il nostro angelo custode qui (si pronuncia Nima), ascolta e sorride.
Di lui e dello straordinario popolo sherpa, vi dovrò parlare prima o poi.
Meglio prima.