Ho spolverato un po’ qua e un po’ là e nel metter ordine è venuto fuori questo:
Il rischio con anniversari così è di prendersi dose doppia di retorica. Che poi quella roba lì, la retorica, non è brutta e cattiva in sè e per sè, è solo che spesso non aiuta. Non aiuta a capire.
Non so come spieghiamo la Resistenza a quelle che un tempo venivano definite le nuove generazioni e che oggi tendenzialmente chiamiamo “giovani” (con un numero variabile di “g“). Non so come gliela raccontiamo su. Così a naso, il tutto non deve avere un gran fascino che a certi 25 aprile l’età media tocca (se non supera) quella di una bocciofila ben avviata o del fansclub di Mino Reitano.
Forse converrebbe raccontargliela semplice semplice. Converebbe raccontargli che quel gruppo di vecchietti lì in fondo, qualcuno oggi anche rincoglionito (perchè rincoglionisce anche chi ha fatto la Resistenza), una volta erano ragazzi e ragazze.
Gente normale. Contadini, studenti, operai, preti. Qualcuno è stato un eroe, come quelli che si leggono nei libri e si cantano nelle canzoni. Certi (pochi) si son persi nella loro guerra personale, assurda e maledetta. Gli altri, tutti gli altri, hanno lottato e combattuto come potevano, con la fifa e il coraggio di gente normale. Quel coraggio che vien fuori tutto di un botto e non sai bene da dove. Quel coraggio che spesso senti andar via ma che ritorna a tormentarti ogni volta che ti passa davanti agli occhi una piccola o una grande ingiustizia.
Ecco, quei vecchietti sono la Resistenza.
Fra qualche anno quando anche gli ultimi avranno salutato con un “bella ciao” la compagnia ( e per essere chiari non è una citazione di DJ Francesco) e saran passati a miglior vita (adesso toccano ferro e pure altro) ci rimarrano solo i libri di storia e qualche film. Roba interessante, però.
Però forse conviene guardarli bene in faccia, oggi, questi vecchietti. Guardarli bene, perchè in fondo è come guardare in faccia una cosa chiamata libertà.
La loro e la nostra libertà.