Le Twin Towers erano ancora lì, al loro posto nello skyline di New York, quando Ali Abu Kamal salì fino all’ottantaseiesimo piano di uno degli altri giganti della Grande Mela: l’Empire State Building. Era domenica 23 febbraio 1997.
Arrivato sulla terrazza panoramica tirò fuori una Beretta e sparò all’impazzata uccidendo un turista e ferendone altri sei. Poi si puntò la pistola alla tempia e tirò il grilletto per l’ultima volta.
Abu Kamal aveva 69 anni ed era un professore di inglese in pensione. Qualcuno dice che ce l’avesse con Israele e gli Usa, qualcun altro che ce l’avesse con tutto il mondo. Fatto sta che era arrivato a New York da Gaza appena due mesi prima, la notte di Natale del 1996, ma quasi subito era volato in Florida. Non per caso.
La Florida è uno degli stati con le leggi più permissive per quanto riguarda la vendita di armi.
Al professore bastò prendere la residenza in un motel e con questa andare a farsi rilasciare una patente di guida. Con la patente di guida si infilò nel primo negozio di armi e comprò la sua pistola automatica. Tutto in pochi giorni.
In verità avrebbe potuto comprare un arsenale intero, perchè a Miami e dintorni non esiste la modica quantità e puoi entrare in un negozio e uscirne (dopo i tre giorni canonici per controllare che tu non sia un pazzo assassino) con quanti AK-47 preferisci. Per chi non avesse dimestichezza con il settore, l’AK-47 è il progetto meglio riuscito del compagno Mikhail Kalashnikov.
Oggi, dieci anni dopo, in Florida le cose filano lisce come prima, almeno per chi vuole comprare e vendere armi. La polizia deve distruggere dopo 48 ore ogni registrazione e alle fiere di settore puoi venderne e comprarne liberamente, così come tra privati.
Se invece ti sei ficcato in testa l’idea malsana di vendere o comprare compact disc usati in un negozio dello stato che fu di Jeb Bush, allora puoi metterti l’animo in pace : sarai trattato come il peggiore dei criminali o quasi.
Nel quasi ci sta che, prima di comprare il tuo cd, il negoziante ti dovrà chiedere un documento d’identità, prendere le tue impronte digitali, registrare l’acquisto con tutti i dati che individuano te e l’oggetto e tenerne copia per qualche anno. Alla fine ti potrà pagare, ma non più con soldi veri: solo con buoni acquisto. Il negozio poi per rivendere il tuo cd dovrà aspettare almeno un mese.
La nuova legislazione per la vendita di oggetti “non nuovi” (o meglio l’aggiornamento di quella vecchia con l’equiparazione alla legge in vigore per i banchi dei pegni) in stati come la Florida e lo Utah, sta preoccupando parecchio sia i rivenditori specializzati che i consumatori.
Pur essendo un settore di nicchia, in particolare con l’avvento del digitale, quello dell’usato musicale è un mercato che garantisce al venditore buoni margini e al pubblico prezzi bassi.
Un mercato mai visto di buon occhio dall’industria discografica. E proprio le major sono sospettate da più parti di ispirare una legislazione tanto restrittiva.
Un sospetto che si basa sull’esperienza di questi ultimi quindici anni che hanno visto i discografici sempre più impegnati nell’escogitare nuove strategie in grado di limitare i diritti d’uso del consumatore e di salvaguardare i bilanci aziendali. Già nel 1993 ad esempio, l’associazione americana dei negozi di musica denunciò le forti pressioni di Sony, Time Warner e altre etichette, per ostacolare il commercio di cd usati.
Del resto le vendite di compact disc sono in drastico calo (gli ultimi dati parlano del 20%), il mercato digitale legale non ripiana le perdite e le tecnologie anticopia (come dimostrano certi fatti recenti) non sono proprio così inespugnabili. Vedere divorate altre fette di mercato da un universitario che magari compra un album, se lo masterizza e poi lo rivende (potendo intanto infilare il contenuto sui circuiti peer to peer), non deve essere uno spettacolo gradevole agli occhi dell’industria discografica.
L’esempio dell’universitario non è casuale. A Princeton di fronte ad una delle più famose e prestigiose università d’America trovate il “Princeton Record Exchange” fornitissimo shop d’usato musicale.
Negli Stati Uniti infatti i negozi e le catene che si sono specializzate nella compravendita di cd musicali di seconda mano si trovano di frequente vicino ai campus, dove studenti senza tanti fondi a disposizione possono vendere album a 5 dollari e comprarne a 10.
Ora questo comunità-mercato nata intorno alla dottrina del “First Sale”, ovvero del poter disporre come meglio si crede di un bene regolarmente acquistato, viene minacciata con un mix surreale e comico di multe, burocrazia e rottura di balle.
Solo il tempo ci dirà se siamo di fronte ad un episodio isolato, frutto della sbadataggine o della troppo solerzia del legislatore americano, oppure all’inizio di una nuova stretta sui diritti del consumatore.
Di certo c’è che se esci di casa ed è più semplice comprare un kalashnikov piuttosto che “Abbey Road” dei Beatles, beh, allora vuol dire che il mondo sta girando dalla parte sbagliata. E sempre più in fretta.