La strage di Capaci e il ricordo di Falcone occupano oggi ampi spazi dei social network italiani e dei media in generale. E’ un anniversario, seppur sghembo e non tondo. Il ventunesimo.
Non è sempre stato così.
In vent’anni lo strambo e coraggioso ficus magnolioide di via Notarbartolo ha visto un’altalena di numeri: dalle centinaia di migliaia del 1993, alle poche centinaia della fine degli anni novanta. Negli ultimi anni, grazie soprattutto al lavoro fatto nelle scuole, il ricordo di Falcone, di Francesca Morvillo e degli uomini della scorta, vive nell’allegria spensierata e chiassosa di migliaia di ragazzi e ragazze catapultati da tutte le parti d’Italia in una Palermo spesso distratta.
Nel 1995, solo tre anni dopo la strage, il convegno organizzato dalla Fondazione Falcone venne intitolato simbolicamente “Capaci, quanto tempo fa ?“. In quegli anni la tomba di Falcone e Morvillo al cimitero Sant’Orsola era sorvegliata giorno e notte da un soldato per evitare vandalismi e profanazioni. In quello stesso anno Berlusconi rinunciò all’ultimo minuto a presenziare alla commemorazione per sottoporsi, secondo i comunicati stampa, ad un piccolo intervento all’ernia. Non tornerà mai più (scriverà però nel 2001 un articolo sul Foglio di Giuliano Ferrara per esaltare Falcone e Borsellino “veri magistrati”).
Nel 1997 si faticherà non poco a trovare artisti disposti ad esibirsi per il concerto sui terreni sequestrati a Riina: solo Battiato e Carmen Consoli rinunciarono ai rispetti impegni per esserci.
Nel 2006 la Rai rinvia, con la motivazione della “par condicio”, la fiction su Falcone.
Nel 2012 Gianfranco Miccichè ha sostenuto che intitolare l’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino è stato “un errore” e un danno per il turismo.
Intanto però la memoria in vent’anni si è insinuata nella vita di tutti i giorni con nomi di strade, piazze, sale, scuole, aeroporti.
Una memoria semplice, a volte banale, a volte superficiale. Però è lì comoda, a disposizione dei molti o dei pochi che ci sono e che ci saranno.
Come diceva quel brav’uomo di Antonino Caponnetto: in fondo forse meglio la retorica che il silenzio.