La guerra era finita, era tornato a casa. S’era messo a fare il ferrivecchi e tutti i soldi che guadagnava se li beveva.
“La devi smettere di bere e ti devi curare.”
Scappò dall’ospedale perché non gli davano il vino. Lo trovano ubriaco in un fosso.
“In un mondo come questo non val la pena di vivere“.
Morì di tubercolosi nel 1952 a Fossano, provincia di Cuneo, dov’era nato 48 anni prima.
C’era un muro da tirare su e lui con i muri ci sapeva fare. La ditta l’aveva portato fin là per quello. Parlava poco, lavorava tanto e bene: “faceva muri dritti, solidi, con mattoni ben intrecciati e con tutta la calcina che ci voleva; non per ossequi agli ordini, ma per dignità professionale”.
Gli capitò un giorno a fargli da garzone uno che al primo viaggio rovesciò tutta la calce del secchio.
“Ah’s capis cun gent’ parei“. Che ti aspetti da gente così. Dialetto piemontese in mezzo alla campagna polacca. Roba strana.
Sì perché da Fossano, dov’era nato, l’avevano mandato ad allargare un posto che era poi il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.
Era l’estate del 1944. “Dai, da qua quel secchio“.
Per i sei mesi successivi al muradur e l’improbabile garzone si parlarono in dialetto piemontese. Ogni giorno il muratore faceva una colletta tra gli avanzi di cibo degli operai e li passava al garzone. Dentro ci si trovava un po’ di tutto: un’ala di passerotto con tutte le penne, un’altra volta ho un ritaglio della Stampa cotto, e un’altra volta ancora dei noccioli di prugne. Era proibito e si poteva finire in grossi guai. “Cosa me ne frega” era la risposta.
Il muratore scriveva, nel suo italiano sudato, ai parenti ed amici del garzone per rassicurarli: “l’ho visto ieri, sta bene, lo troverete un po’ dimagrito“.
“Io credo che proprio a lui debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi.”
In memoria di Lorenzo Perrone, muradur piemontese, “Giusto tra le Nazioni” che ha salvato la vita di un uomo e ci ha ricordato come il bene sia, tutto sommato, una cosa semplice e al tempo stesso straordinaria.
Primo Levi, il garzone maldestro del campo di Auschwitz, ha chiamato i suoi figli Lisa Lorenza e Renzo.
Tutti i giorni (da ormai 7, 8 anni, forse di più) vengo qui e quando, finalmente, c’è un nuovo post so già che stai per mostrarmi un nuovo orizzonte, che stai per mostrarmi una parte di mondo che mi era sfuggita o che non avevo considerato degnamente.
Oggi, ancora di più, grazie!