Ieri, nel mio piccolo angolo di provincia emiliana, il paese reale e quelle virtuale si allarmavano per il primo caso positivo a Covid-19, individuato a pochi chilometri di distanza e subito teletrasportato qui dal passaparola.
E’ dovuto intervenire il sindaco per smentire e c’è stato pure lo scatto fotografico con abbraccio al falso contagiato. (l’ultima cosa da fare in questo momento è comunque abbracciare un sindaco o amministratore locale, vera categoria a rischio, stando alle statistiche e alla cronaca).
La verità è che probabilmente anche qui, nel piccolo angolo di provincia emiliana, arriverà Covid-19 se non c’è già arrivato.
In Corea del Sud hanno fatto finora circa 140.000 tamponi e hanno scovato 5.800 contagiati. I morti sono 35.
Il rapporto quindi è di un 4% tra test e contagiati e 0,6% tra contagiati e decessi.
In Veneto, dove con il caso di Vo’ i test sono stati molti e generalizzati, su 10.500 tamponi hanno scovato 360 contagiati, ovvero un rapporto del 3,4% e i morti sono stati 6 (1,6% rispetto ai contagiati)
Sono numeri simili al dato coreano, ma molto diversi da quelli lombardi ed emiliani, luoghi dove i tamponi vengono fatti solo in casi mirati.
Se si cercano di portare (certamente con tutta l’approssimazione del caso) i numeri della mortalità veneti e coreani sull’Emilia e la Lombardia, si arriva ad ipotizzare un numero di contagiati totali decisamente maggiore.
Sono persone probabilmente con sintomi lievi o quasi del tutto assenti, ma possibile, inconsapevole fonte di contagio.
Non sono altro da noi, possiamo essere noi. Siamo noi.
E’ per questo che la dolorosissima operazione (dal punto di vista economico, sociale e culturale) di “distanza sociale” deve essere rispettata il più possibile.
Siamo noi, tocca a noi.