Il mercato dell’indignazione è saturo, perché anche se la domanda è alta, l’offerta è onestamente altissima, a volte smaccatamente sproporzionata. Tendo quindi a tenermene lontano. Di solito.
“Muoiono solo i vecchi” è una cosa che abbiamo declinato a voce alta o nei pensieri più nascosti più o meno tutti, una volta almeno, da quando è cominciata.
Leggi i bollettini e ti dici: si vabbè ma questo aveva 100 anni. Oh quest’altra aveva 95 anni, il suo l’ha fatto.
Il meccanismo s’inceppa per qualche istante quando incroci qualche cifra che ancora ti puoi giocare al lotto: vabbè questo 65, ma sono eccezioni, tipo quando esce il 42 sulla ruota di Bari.
“Muoiono solo i vecchi” l’abbiamo pensato e magari detto alla leggera o ponderando bene in cerca di una soluzione in buona fede.
Poi ci sono quelli che, non avendone più di soluzioni, c’aggiungono leggiadri “perlopiù pensionati” e “non indispensabili allo sforzo produttivo”.
Vabbè, sarebbe piuttosto facile aggiungere dopo “sforzo produttivo” “del Terzo Reich” ma la reductio ad Hitlerum ce la risparmiamo, che non ne vale la pena.
In verità “muoiono solo i vecchi” è anche una mezza allucinazione.
Perché se gli ospedali vanno i tilt, i letti finiscono, muoiono anche i “non più giovani” e poi a ruota anche quelli il cui numero normalmente non esce mai.
E allora proteggiamo i vecchi e noi continuiamo a vivere, a produrre, a mantenere in piedi il sistema !
Sembra un buon piano, anche quando non è proprio spinto dalle migliori intenzioni.
Però è un poco complicato e arriva fuori tempo massimo.
Gli anziani stiamo tentando di proteggerli dall’inizio, come famiglie ed istituzioni, senza riuscirci veramente fino in fondo.
Il motivo è abbastanza semplice: quelli nei bollettini non sono numeri del lotto, sono persone.
Sono madri, padri, nonni, zie sorelle e fratelli.
Sono nomi e cognomi.
Sono storie e affetti, perlopiù, fragili.
Sono pezzi di vita.
La nostra vita.