A Lhasa c’è Georg Blume, corrispondente della agenzia tedesca “Deutschen Presse Agentur”. Parla di una città presidiata militarmente, dove è stata riaperta però la piazza davanti al Jokhang, in pratica la parte “tibetana” di Lhasa ed epicentro degli scontri di venerdì e chiusa fino a ieri. E’ cominciata anche l’opera di propaganda delle autorità della TAR (Regione Autonoma Tibetana): in giro manifesti come “Combattiamo insieme contro gli atti criminali del Dalai Lama” o “il separatismo è una sciagura, la stabilità un bene“.
Se Lhasa è “pacificata”, i problemi per le autorità di Pechino vengono da tutti quei luoghi dell’altipiano, spesso fuori dai confini della TAR, che però hanno maggioranze schiacchianti di popolazione tibetana perchè non ancora raggiunti dalla emigrazione cinese.
Oggi il segretario del partito comunista in Tibet ha parlato della attuale situazione come di un “lotta per la vita o la morte“. Intendeva di tutta la Cina. Questo dimostra che la rivolta preoccupa ancora, e molto, Pechino.