<%image(tibet tenda.JPG|705|529|tibet tenda)%>Kathmandu cerca di levarsi di dosso un po’ di polvere con questo temporale di maggio. E’ notte. Piove e un po’ sembra di stare dentro Blade Runner.
Sono giorni intensi gli ultimi prima di lasciare per la seconda volta il Nepal.
Sulla salita dello stupa di Swayambhunath da fine marzo c’e’ la grande tenda dei tibetani in protesta.
Protesta silenziosa e ritmata dalle preghiere. Giovani e anziani. Rughe e cellulari. Anche 10 minuti qui con loro hanno senso.
A Boudhanath, all’estrema periferia di Kathmandu, tra strade che non hanno nome, ma solo sassi e polvere, c’e’ invece la Buddhist Child Home.
E’ una piccola struttura che ospita oggi 55 bambini orfani, raccolti per strada, portati dalla polizia, dagli ospedali, da madri in difficolta’. Da 16 anni opera (in gran parte grazie a donazioni private) per salvare queste piccole vite puntando tutto sull’educazione.
Un tetto, un pranzo, una cena, ma sopratutto libri, musica e le migliori scuole.
<%image(buddhist child home.JPG|682|512|buddhist child home)%>Arrivare qui vuol dire essere investiti da un ciclone di entusiasmo sotto i 50 cm. Vuol dire essere trascinati nella piu’ innocente e pura delle felicita’. Vuol dire ridere e pensare.
Fuori sul muro c’e’ una frase del premio nobel Gabriela Mistral:
We are guilty of many errors and many faults but our worst crime is abandoning the children, neglecting the fountain of life. Many of the things we need can wait. The child cannot. Right now is the time his bones are being formed, his blood is being made, and his senses are being developed. To him we cannot answer ‘Tomorrow.’ His name is ‘Today.