Ci sono due tombe, una accanto all’altra, al Lion Cemetery di Sarajevo.
Intorno molte altre. Quasi tutte con le stesse date: 1992,1993, 1994.
L’assedio piu’ lungo e tragico del ventesimo secolo.
La più piccola delle due tombe ha invece un’altra data: 24 maggio 2000.
Quel giorno in Sierra Leone veniva ucciso in un’imboscata uno dei reporter di guerra più bravi e preparati dai tempi del Vietnam.
Si chiamava Kurt Schork.
Da quel maggio di otto anni fa, una parte delle sue ceneri, è stata sepolta a Sarajevo, da dove per anni raccontò la guerra e l’assedio come corrispondente della Reuters.
Scoprì il giornalismo tardi, a 40 anni, ma per dieci fece l’inviato di guerra con grande professionalità e umanità.
Kurt Schork non è un estraneo. Vi è più familiare di quello che possiate credere, almeno per quelli che hanno una certa età e hanno anche solo ricordi sfumati della guerra in ex-jugoslavia.Sopra la seconda tomba del Lion Cemetery, quella più grande e bianca, c’è oggi un cuore di granito. Dentro un ritratto in bianco e nero di due ragazzi.
Si chiamavano Admira Ismic e Bosko “bato” Brkic.
Il 19 maggio del 1993, quindici anni fa, tentavano di scappare da una Sarajevo impazzita.
Venticinque anni. Innamorati. Lei musulmana, lui serbo-bosniaco.
Furono ammazzati da un cecchino sul Vrbanja Bridge.
Per 5 giorni i loro corpi rimasero sul ponte. Nessuno li voleva recuperare.
Kurt Schork fu il primo a raccontare a tutto il mondo la storia di Romeo e Giulietta a Sarajevo.
A lui oggi è intitolato un bel premio giornalistico per freelance e giornalisti di paesi in via di sviluppo.
(la foto di Admira e Bosko abbracciati sul ponte di Vrbanja riprodotta sopra è stata scattate da Mark Milstein)