Il meccanismo delle primarie democratiche, che distingue momento e luogo della registrazione da quello del voto vero e proprio, contribuirà a far partecipare meno persone.
Questo forse, nelle intenzioni di qualche stratega dalemiano, dovrebbe rappresentare un vantaggio per Bersani.
Al di là delle valutazioni di convenienza elettorale esistono i lati pratici di questa scelta. In una piccola comunità di provincia come la mia non sono del tutto scontati.
1) Il dove. I seggi delle primarie sono normalmente distribuiti in tutte le frazioni mentre per il luogo di registrazione (alias l’ufficio elettorale) sorgono dei dubbi. Probabile che sia uno solo nel capoluogo, coincidente con la sede del locale circolo del Partito Democratico. Questo pone dei problemi in particolare agli elettori più anziani con meno possibilità di muoversi. In teoria è un punto a sfavore per Bersani, sempre che non si aggiri la questione con delle registrazioni “domiciliari” che poi vengono consegnate “all’ufficio elettorale” per interposta persona. Un meccanismo non proprio trasparente e immune da contestazioni.
2) Il tempo. Nei ventun giorni (dal 4 al 25 novembre) a disposizione per la registrazione per quanto tempo sarà aperto “l’ufficio elettorale” ? Due, quattro, sei, otto ore ? E tutti i giorni ? La sera, la mattina, il pomeriggio ?
La registrazione, così pensata, pare essere insomma uno strumento che complica, quasi inutilmente, la partecipazione.
Per quanto riguarda il voto negato ai sedicenni, si leggono in giro parecchie inesattezze: nel 2007 e 2009 votarono sì i sedicenni, ma si eleggeva il segretario del partito.
Nelle uniche primarie per la scelta del candidato premier (Prodi, 2005) l’età minima era di 18 anni con una sottile, ma non inutile, distinzione rispetto alle attuali regole che prevedono che “possono partecipare al voto i giovani che compiono 18 anni entro il 25 novembre 2012“: nel 2005 votavano anche quelli che avrebbero compiuto la maggiore età al momento delle elezioni vere nel 2006.