Giuseppe D’Avanzo oggi su Repubblica ribadisce un concetto che in Rete in molti hanno già espresso : per chi conosce un minimo le dinamiche del web, le rivendicazioni e ultimatum sul sequestro di Simona Torretta, Simona Pari, Ra’ad Ali Abdul Aziz e Mahnaz Bassam sono fino a prova contraria facili giochetti che chiunque può mettere in opera con un cavo telefonico e un account internet.
In un altro passaggio D’Avanzo analizza quella che definisce altra “acqua sporca” :
….In quelle stesse ore, tuttavia, comincia a gocciolare dell’acqua sporca. Una fonte istituzionale rivela alla Stampa che “Mohammed Hussein Ramada, detto Ghareeb (in arabo “lo straniero”) rimasto ucciso durante il sequestro di Enzo Baldoni, era di casa nell’ufficio di Bagdad di “Un ponte per…” ed era stato presentato al giornalista milanese proprio da una delle volontarie”. La circostanza è smentita poche ore dopo da accreditate fonti dell’intelligence italiana e, quel che più conta, da dirigenti di “Un ponte per…”.
Chi ha l’interesse, nelle istituzioni, a creare un nesso (finora non documentato) tra la morte di Enzo Baldoni e il sequestro delle due Simone?
In verità forse, in questo caso, non c’è nessun mistero (o quasi). Senza girovagare tra fonti istituzionali e di intelligence basta passare ancora una volta dal web.
Qualche giorno fa, nei primi momenti del sequestro delle due italiane e dei due iracheni, chi visitava il sito di “Un ponte per..” trovava tra gli altri un comunicato particolare che non poteva non attirare l’attenzione del lettore, anche alla luce di quello che era accaduto pochi giorni prima ad Enzo Baldoni e al suo accompagnatore “Mohammed Hussein Ramada, detto Ghareeb”. Ad una prima occhiata chi cerca oggi sul sito di “Un ponte per..” quel comunicato non lo trova. Solo con un piccolo escamotage si può recuperarne una copia dalla cache di Google:
Iraq. Questa guerra ci ha portato via due amici.
Data: 27 08 2004
Campagna: Un ponte per Baghdad
Uno si chiamava Gharib, era un iracheno di origine palestinese, gioviale e generoso, sempre pronto ad essere lì dove la guerra colpiva per tentare di salvare qualcuno. Andava e veniva da Falluja, durante l’assedio statunitense, per portare i feriti negli ospedali. Ora si stava dedicando alle vittime di Najaf. Gharib è una delle tante vittime irachene di questa guerra, vittime di solito senza nome né volto.
L’altro amico si chiamava Enzo, era con Gharib quando quest’ultimo è stato ucciso, forse tentando di difenderlo.
Abbiamo conosciuto Enzo a Baghdad, era passato più volte nel nostro ufficio prima di partire per Najaf. Enzo non era solo un giornalista. Era apertamente contrario alla guerra e alla partecipazione italiana alla occupazione dell’Iraq. Voleva sapere di più di quanto di solito si dice di questa guerra, e voleva raccontarlo.
Enzo e Gharib non sono vittime solo dei terroristi, ma di una guerra che non volevano. Ci uniamo oggi al dolore delle loro famiglie. I volontari e gli operatori di Un ponte per…
Ovviamente questo messaggio lascia aperto il campo alle più diverse interpretazioni e non può significare nulla di assoltamente preciso e provato. L’unica cosa che suggerisce è di non lasciare per strada nessun indizio e nessuna pista, sopratutto oggi che si è costretti a correre dietro a certi ultimatum virtuali.