Quando ammazzarono Ilaria e Miran avevo vent’anni spaccati e guardavo il mondo come solo a vent’anni puoi permetterti, con quella speranza gigantesca che occupa tutto, senza lasciare quasi spazio alla rassegnazione o al disincanto.
Oggi sono passati altri vent’anni e la procura di Roma ha gettato la spugna chiedendo l’archiviazione dell’inchiesta sulla loro morte.
Come altri ho avuto tutto il tempo in questi due decenni di far spazio alla rassegnazione e al disincanto. Però ancora oggi mi è rimasto un po’ di posto per rimpiangere la cosa più importante di Ilaria: il suo giornalismo, la sua professionalità, la sua umanità. Mischiati tutti insieme.
Per intuirlo basta citare un piccolo episodio.
In uno dei suoi viaggi in Somalia Ilaria fu invitata, come altri giornalisti, a passare il Natale da Giancarlo Marocchino (chiaccheratissimo maneggiatore di molte faccende della Mogadiscio di allora) per festeggiare a champagne e aragoste. Ilaria declinò l’invito, perchè “non era andata in Somalia per mangiare aragoste“. La sera stessa prese un aereo per Merca e passò il giorno di Natale realizzando un servizio sul cronicario di Annalena Tonelli (che è stata uccisa in Somalia nell’ottobre del 2003).
La foto sopra di Ilaria e Miran è una delle ultime. L’ha scattata nel marzo del 1994 Raffaele Ciriello, uno dei più bravi fotogiornalisti italiani, ucciso a Ramallah nel 2002.
Ilaria, Miran, Annalena, Raffaele.
Ricominciare da loro per far spazio, solo un poco, alla speranza.
Che lì fuori, anche oggi, c’è un sacco di gente perbene.