Io e V. ci incontravano ogni giorno, più o meno nello stesso punto, in orari improbabili anche con meteo instabili.
Lì al confine di tutto, soli nel silenzio delle cose umane, ci scambiavamo i saluti di rito.
“Ciao nàno !”
Per chi non è pratico di quest’angolo d’Emilia profonda, “nàno” è un saluto affettuoso che si rivolge a quelli giovani giovani, anche se poi giovane non sei più.
Parlavamo del più e del meno, non dei massimi sistemi. Quelle magnifiche chiacchiere veloci e sfuggenti dei tempi ordinari.
Poi ognuno per la sua strada: io in mezzo ai campi con la pelosa bestia a quattro zampe e lei a trovare R.
“Salutamelo” le dicevo ogni tanto.
Oggi, dopo diversi giorni, ho incontrato V.
Non eravamo al confine di tutto, ma in mezzo al paese per le faccende che ordinanze e decreti definiscono essenziali. Le nostre non sono state quelle magnifiche chiacchiere veloci e sfuggenti dei tempi ordinari.
Dobbiamo essere isolati, lo dobbiamo a noi stessi e agli altri.
Ma spesso le regole, i divieti, le prescrizioni, via via crescenti, hanno scambiato isolamento e distanziamento sociale per confinamento. E spesso, in realtà diverse, si finisce con l’effetto contrario: a concentrare le persone, non a isolarle.
Non ha lunga vita quest’idea di confinamento, non la può avere. Non l’ha per il tempo che, da subito, sapevamo di dover affrontare.
E allora forse è necessario iniziare a pensare a come prendere le misure con il futuro e ridefinire, quando possibile, il concetto di essenziale e come gestirlo.
“Salutami R.” vorrei tornare a dire prima o poi.
Anche se R. se n’è andato da un pezzo e V. può tranquillamente accarezzarlo, incurante delle distanze.
Lì, al confine di tutto, sono soli nel silenzio delle cose umane.
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Questa cosa dei cimiteri chiusi dovremo affrontarla e risolverla con regole civili e razionali, perché nàno, l’essenziale (come dice più o meno quel libro molto popolare) può essere invisibile agli occhi.