La provincia di Reggio Emilia è la sesta in Italia per casi registrati di Covid-19, preceduta solo da metropoli come Milano e Torino, o dai grandi focolai di Bergamo, Brescia e Cremona. Rapportata alla popolazione è quarta nella stessa classifica. Prima per contagi in Emilia Romagna.
Ma i numeri che determinano quelle classifiche sono una grande illusione.
Come è arrivata Reggio lassù, quasi in vetta alla classifica degli appestati ?
Semplice, facendo più tamponi. Ma non da subito. Fino al 25 marzo si facevano pochi test: quando andava bene un centinaio, che poi venivano spediti al laboratorio di Parma o a Bologna per essere analizzati, con tutti i ritardi del caso.
Dal 25 marzo invece la provincia è diventata autonoma con un laboratorio accreditato nel proprio ospedale, con un investimento in nuove strumentazioni e con un’organizzazione del personale che permette di fare in media tra i 600 e 700 test al giorno.
I dati forniti il 9 aprile dall’azienda sanitaria evidenziano anche un quadro qualitativo e non solo quantitativo dei tamponi. Non sono tamponi “a tappeto”, ma mirati e con priorità specifiche:
circa 5800 tamponi eseguiti in ospedale.
circa 700 tamponi eseguiti negli ambulatori covid.
circa 850 tamponi eseguiti nelle residenze protette per anziani.
circa 1650 tamponi nei drive through.
circa 300 tamponi a domicilio.
circa 300 per la sorveglianza sanitaria degli operatori.
La parte maggiore dei tamponi è stata “spesa” finora in ospedale, per verificare chi è ricoverato e quindi in situazione più complicata. La seconda fetta è quella per “bollinare” la guarigione con il sistema dei drive through. La terza è per mappare la situazione sul fronte più fragile: le residenze per anziani. La quarta negli ambulatori e nelle case, per stanare sul territorio la malattia.
Con il tempo le percentuali si stanno spostando dai test ospedalieri a quelli sul territorio. Anche per questo Reggio ha di gran lunga la percentuale di ospedalizzazione dei casi Covid-19 più bassa in regione, con il 70% dei malati in isolamento domiciliare.
Reggio è quindi una provincia colpita (data la vicinanza con il primo grande focolaio lombardo) ma non travolta. Ed è anche un ottimo esempio di come le bussole, in questa tempesta, siano impazzite.
La prevalenza è il termine tecnico che identifica un fattore chiave: quanti contagiati ci sono in un territorio.
Con certezza non lo sappiamo e per davvero non lo sapremo mai.
Abbiamo perso l’opportunità di scattare foto realistiche della pandemia fin dall’inizio, da quando il virus ha cominciato a girare sottotraccia e noi guardavano da un’altra parte, schierando alle frontiere i gendarmi con i pennacchi e con le armi, senza avere però una piccola vedetta lombarda.
Possiamo tentare di stimare la prevalenza attraverso lo strumento più efficace (ma non perfetto) che abbiamo: la letalità del virus, ovvero il rapporto tra i decessi e i contagiati. Una semplice frazione.
I dati ci dicono che, a seconda dei contesti demografici e in condizioni di stress sanitario controllato (non come è successo in Lombardia dove gli ospedali non hanno retto l’urto) la letalità di questa malattia è intorno all’1%.
I dati italiani sono lontanissimi da quella cifra e molto più in alto. Perché ?
Perché anche una semplice frazione ha bisogno che numeratore e denominatore siano numeri veri o perlomeno accurati.
Il denominatore, cioè i numero dei contagiati, dipende dal numero e dalla qualità di tamponi che effettui. A Reggio infatti, a partire da fine marzo, il maggior numero di tamponi ha fatto calare la letalità sotto il 9%, meno della metà delle vicine Parma e Piacenza.
E il numeratore ? Beh anche contare i morti è stata un’impresa.
Nei dati dei 30 comuni reggiani (su 42) finora inseriti da Istat nella sua analisi c’è un differenziale ampio nella mortalità generale rispetto ai 5 anni precedenti che si spiega solo in parte (per circa il 60%) con i morti registrati ufficialmente per covid-19.
Ma anche stimando realisticamente un numero dei decessi più alto, abbiamo un altro problema: chi sono quei morti ?
L’Ausl di Reggio, qualche giorno fa, ha fornito il numero dei contagiati e dei decessi nelle strutture per anziani della provincia: su poco meno di 2.800 ospiti, fino a quel momento erano stati individuati 607 positivi. E’ una prevalenza del 22% e si tratta di un dato ancora parziale, perché non sono stati fatti tamponi a tappeto.
I decessi invece riconducibili a covid-19 nelle stesse strutture (anche se non sempre certificati con tampone positivo) sono stati nello stesso periodo 153. Una cifra che rappresenta quasi la metà dei morti totali da coronavirus registrati fino a quel momento.
In sostanza: molti dei decessi reggiani purtroppo sono avvenuti in contesti particolari e fragili, dove la letalità della malattia è molto più alta.
E’ un elemento che suggerisce che la prevalenza del virus nell’ambito demografico generale sia più bassa di quello che possiamo stimare confrontando la letalità apparente attuale con quella plausibile.
Anche quando ci sforziamo di inquadrare meglio quindi, la fotografia che scattiamo è ancora sfocata.
Ed è un problema, non solo per il passato, ma soprattutto per il futuro.
* “testa quadra” lo capiscono in Emilia o poco più in là.