Quattro elezioni politiche, tre europee, tre regionali, tre provinciali, tre comunali, due referendum costituzionali, tredici referendum abrogativi. Un totale di sedici turni elettorali (e altrettanti timbri) da quando, dal 2001, esiste la tessera elettorale.
Ho votato (con il senno di poi) gente scapestrata, persone degne, personaggi in cerca d’autore e candidati competenti. Sono stato piuttosto fedele a certe convinzioni, altre volte ho sperimentato. Ho seguito la ragione e di tanto in tanto la passione.
Ho espresso la mia opinione su grandi temi e su piccole astruserie, tipo la “servitù coattiva di elettrodotto”.
E ora sono li pronto a farmi mettere, domenica 17 aprile, il diciassettesimo timbro.
Vado a votare anche se trovo questo referendum un grande spreco di energia.
Un esercizio democratico sostanzialmente inutile per la comunità, buono solo per misurare il grado di renzismo e antirenzismo del paese.
Vado a votare, ma non ho ancora deciso se “Sì” o “No”, pur avendo letto e ascoltato molti argomenti opposti, conditi spesso da un altissimo tasso di demagogia.
Vado al seggio, da elettore adulto, per rispondere ad un quesito preciso “sull’abrogazione dell’articolo 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152” e non per salvare il futuro dell’umanità.
Non so se riuscirò a farlo con la ragione dovuta, perchè, con buona pace degli impallinati della democrazia diretta sempre e comunque, non ho abbastanza competenze.
Al massimo comunque faccio come ai caucus dell’Iowa: tiro la monetina.
Vado a votare, in verità, perchè con questo referendum e con quello di ottobre prossimo finisco i bollini.
E vedi mai che alla fine non si vinca qualcosa: un set di pentole o un Paese più decente.