Dei primi ascolti non dovresti mai fidarti. Men che meno del primo ascolto di un album di Vinicio Capossela.
Vi metto subito in guardia: se non vi siete collezionati in questi anni tutto o quasi quello che il pazzo ha mandato alle stampe dall’epoca di “All’una e trentacinque circa” (anno 1990), allora passate pure oltre, che qui non si parla forse più di musica, ma di fede.
La fede (con f minuscola) che ti fa comprare il nuovo album “Ovunque proteggi” a 5 anni di distanza da “Canzoni a manovella”. A scatola chiusa, senza aver letto una recensione, senza aver ascoltato “il singolo” (dalla parte di spessotto).
Ma dicevamo del primo ascolto. Com’è questo cd dopo che s’è fatto un giro uno dentro allo stereo ? Bella domanda.
Se ti fermi alle prime 5 canzoni (escluso spessotto) ti viene il sospetto che ormai Vinicio vada per la sua strada e tu lì dietro ad arrancare. Lui troppo avanti e tu troppo indietro ? Lui proiettato alla ricerca estrema di suoni e parole e tu fermo alla scontata melodia ? Chissà. Banalmente dopo 5 canzoni ti sei rotto le palle.
Poi d’improvviso ti ritorna la speranza con il corpo bandistico di Scicli provincia di Ragusa ad accompagnare quell’inno spettacolare da sagra paesana che è “L’uomo vivo“; ritorna il sorriso con la “Medusa cha cha cha“, torna la melodia con la bellissima (la più bella) “Dov’è che siam rimasti a terra, Nutless ?” e poi “Pena del Alma” e “Lanterne Rosse” fino ad arrivare alla fine, a “Ovunque Proteggi” che ti riporta ad un Capossela d’annata.
Ecco, se ti fermavi alla traccia numero 5 avresti giurato di averlo perso per sempre quel Vinicio che hai conosciuto 15 anni fa. Ed invece.
Invece è ancora lì. Anche dopo un primo, unico ascolto.