Me lo ricordo ancora il povero DM. Non ho mai capito il sadismo parentale di affibbiare ad un ragazzino un doppio nome. Domenico Maria è poi un invito a nozze per adolescenti sadici e assetati di sberleffo. Domenico Maria è un destino segnato.
La statistica infatti afferma che il 99,9% (periodico) di chi all’anagrafe viene iscritto con un doppio nome porta con sè il gene del secchione. Non se ne abbiano a male tutti i Pier Giovanni, i Massimo Maria e i Carlo Alberto (tralascio, per carità di patria, i Vittorio Emanuele). E’ pura evidenza scientifica.
DM, tra l’altro, era uno di quei secchioni un po’ bastardi dentro. La versione di latino ad esempio la metteva al prezzo di 3 panini al crudo. Se volevi il compito di matematica bello che risolto ci lasciavi la merenda di tutta la settimana.
Per fortuna mia e di qualche altra mezza dozzina di caproni c’era F.
F. era una santa e dolce ragazzina che per quasi un quinquennio, passandoci soluzioni sottobanco senza nulla chiedere se non un sorriso, ci ha salvato il didietro da bocciatura certa.
Domenico Maria e F. mi sono tornati alla mente spulciando le pagine del progetto “DiGi Scuola” voluto dal Ministero per le Riforme e l’Innovazione nella Pubblica Amministrazione (mai un acronimo quando serve) e da quello dell’Istruzione. DiGi Scuola ha un sottotitolo impegnativo : “la scuola digitale per gli studenti del nuovo millennio”. Mica bruscolini.
Cosa sia nelle intenzioni questa scuola digitale è presto detto : dotare 3.300 insegnanti di matematica e italiano di 550 scuole del centro-sud (isole comprese) di un computer portatile, di un videoproiettore e di una lavagna elettronica.
E poi, passaggio fondamentale, munirli di voucher.
Magari la professoressa di italiano gradirà tradurre il termine con “buoni acquisto”, ma la funzione in sè non cambia.
I voucher servono per acquistare i contenuti didattici digitali nel fulcro della nuova scuola : il mercato elettronico.
E visto che messa così la questione può sembrare poco terra terra, abbassiamo il baricentro con un esempio.
L’insegnante di matematica vuole spiegare il teorema di Pitagora però trova che l’analogico (lavagna, gessetto e cancellino) sia sorpassato e quindi trasmigra al digitale.
Si collega così, in banda larga (se non fa parte di quel 30% di scuole italiane sfortunate che l’adsl la vede con il binocolo), al “mercato elettronico” e usa uno dei voucher per acquistare un’animazione del teorema di Pitagora (come questa) creata da qualche editore per la nuova scuola digitale.
Il professore irradierà poi alla platea degli studenti, tramite lavagna elettronica e videoproiettore, Pitagora e tutte le ipotenuse del caso.
Quanto costa Pitagora in digitale ?
Per avviare la sperimentazione per l’anno scolastico 2006/2007 sono stati stanziati 26 milioni di euro.
Anche in tempi di finanziarie da vacche magre non sembra una spesa strampalata. Ma se si guarda la cifra con un punto di vista per così di dire ravvicinato, si intuisce il primo dubbio sul progetto : l’oste avrà fatto i conti ?
Ogni scuola ha a disposizione in media tra gli 8.600 e gli 8.900 euro di voucher da spendere in un anno. In totale quasi 5 milioni per i contenuti. Circa 1.500 euro a professore. 3.000 a classe. 150 euro a studente.
Tanto per fare delle proporzioni con il mondo analogico, in Italia la spesa media per i normali libri di testo di ogni alunno delle superiori si attesta sui 300-400 euro (chi più chi meno). Questo per tutti i libri. Non solo per matematica e italiano.
Eh sì, perchè passata la sperimentazione non vorremo mica scontentare l’insegnante di chimica o far passare per il solito sfigato quello di filosofia ? L’ambaradam e i voucher bisogna darli pure a loro, prima o poi.
Moltiplicando quindi i soli buoni acquisto per le 118.052 classi della scuola secondaria di secondo grado e per tutte le materie possiamo raggiungere e sorpassare quota 2 miliardi di euro. All’anno. Solo per le superiori.
Pitagora digitale a regime, una volta finiti i soldi della sperimentazione (magari spillati dai fondi europei), potrebbe risultare piuttosto caro.
Anche in ragione di qualche altra cifra. Quelle sull’edilizia scolastica ad esempio.
Negli ultimi 5 anni il governo italiano ha stanziato per questo capitolo di spesa un totale di 462 milioni di euro. E non è che lo scuole italiane siano così ben messe.
Secondo i dati del Ministero elaborati dalla CGIL il 57% delle scuole italiane non ha il certificato di agibilità statica, il 36% non ha gli impianti elettrici a norma, il 73% non ha un certificato di prevenzione antincendio, il 30% ha barriere architettoniche.
Fuor di cifra e di statistica, lo stato di salute delle scuole italiane lo si può saggiare anche in Rete.
In attesa che arrivi online la promessa “Anagrafe Nazionale dell’edilizia scolastica” (armatevi di pazienza perchè è stata istituita con una legge del 1996) ci si può accontentare di Google.
L’universo scolastico italiano ci può riservare licei scientifici calabresi con i turni per far lezione perchè crolla il tetto o licei artistici fiorentini dove di artistico c’è davvero poco . L’elenco potrebbe continuare a lungo.
Nasce qui il secondo dubbio: se crolla il tetto o piove in aula, il videoproiettore funzionerà lo stesso ?
Comunque, nel caso si trovino i soldi e nel caso la scuola rimanga tutta intera, il progetto potrebbe pure andare, se non fosse per il terzo e conclusivo dubbio : i contenuti.
Girovagando nella banca dati “Multimedia scuola” della Aie (l’associazione italiana editori) si scopre che i contenuti multimediali censiti sul mercato sono circa 1.200 (cd e floppy). Molta roba che risale al 1997 o prima. Floppy che girano solo sull’ avveniristico Windows 3.1. C’è insomma, puzza di muffa. Almeno un po’.
Il nuovo mercato elettronico, c’è da scommetterci, sarà di certo più aggiornato e più completo, ma nascerà già vecchio.
Vecchio perchè non ha capito che il mondo, almeno quello online, funziona se gira in orizzontale e non in verticale.
Vecchio perchè si comporta come se là fuori non esistessero, a portata di studente, cosette chiamate Wikipedia o Google.
Vecchio perchè rifiuta la filosofia della condivisione per far intascare un po’ di diritti a qualche editore certificato.
Sarebbe davvero un’idea tanto balzana vedere sulla piattaforma nazionale contenuti prodotti dagli studenti e scambiati online, oppure i contenuti digitali prodotti dagli editori liberamente modificabili e migliorabili da insegnanti e allievi ?
Gli studenti italiani, oltre a conoscere Pitagora, imparerebbero a produrre in prima persona contenuti, ad approfondire tecniche e ad utilizzare software. Tutta roba non proprio inutile nel mondo del lavoro.
Sarebbe davvero un’idea balzana far digerire al Cipe, al Ministero e agli editori licenze Creative Commons ?
Forse sì, davvero balzana come idea. Perchè a quel punto si dovrebbe abbandonare l’idea di Mercato per quella di Comunità e per un passo del genere ho il sospetto che ci siano dietro le scrivanie giuste ancora troppi Domenico Maria.
Intanto le ragazzine come F. sono finite, molto probabilmente, dietro una cattedra ad insegnare.
In fin dei conti, pensandoci bene, se fosse accaduto l’opposto (F. al ministero e DM in aula) a questi poveri studenti sarebbe andata decisamente peggio.