Sprechi a 4 zampe ?

Tre anni fa raccontavo le vicende legate “Turisti a 4 zampe”, sito promosso dall’allora ministro, senza ministero, Michela Brambilla.

Oggi scopro che il Ministero della Salute e la Brambilla hanno presentato un “nuovo” portale: “Vacanze a 4 zampe“.

A prima vista i due siti, per così dire, si assomigliano (cliccare sulle immagini per ingrandire).

<%image(vacanze4zampe.jpg|994|655|vacanze a 4 zampe brambilla)%> <%image(turistia4zampe.jpg|1003|670|turisti a 4 zampe brambilla)%>

Una differenza è che il dominio www.turistia4zampe.it è intestato alla struttura pubblica del dipartimento del turismo, mentre il “nuovo” portale è intestato direttamente a Michela Brambilla e alla sua associazione (come reparto tecnico c’è sempre la fedele Viamatica).

Perchè il Ministero della Salute patrocini due siti identici (due cloni in tutto e per tutto, pure nel codice) è un piccolo mistero.

In tempi di crisi le vacanze a 8 zampe sono da considerare come uno spreco ?

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aggiornamento: pare manderanno anche vetrofanie per gli esercizi commerciali che aderiscono all’iniziativa. Esercizi che probabilmente inizieranno una collezione visto che c’erano le vetrofanie anche nel 2009 per il portale “turisti a 4 zampe”.

Se volete esercitarvi nel “scova la differenze” ecco le immagini:

<%image(turismo4zampe vetrofania.jpg|610|610|vetrofania turisti a 4 zampe)%> <%image(vetrofaniaimg_mod.jpg|286|286|vetrofania vacanze a 4 zampe)%>

Intanto nella conferenza stampa di presentazione la Brambilla parte in quarta e chiama il nuovo portale come “turisti a 4 zampe”.

Sorry Michela, quello l’avete presentato nel luglio del 2009.

Il cattivo giornalismo sui suicidi

Esempio (uno dei tanti) di cattivo giornalismo sui suicidi: questo.

Ieri il Comune di Carpi ha smentito che si tratti di un suicidio a causa della crisi economica. La vittima era seguita da molto tempo dal servizio di igiene mentale ed era inabile al lavoro per problemi di salute.

Però magari nessuno si prenderà la briga di cancellarlo da quelle “statistiche” giornalistiche sulla crisi che sono molto di moda. E magari ci si faranno editoriali e tabelle.

E il cattivo giornalismo continuerà ad ignorare le conseguenze della propria superficialità.

Il Trota a Tirana

E’ probabile che Belsito (già esperto di titoli accademici facili) stesse preparando a Renzo Bossi il seguente percorso: titolo di laurea conseguito in Albania e riconoscimento di equipollenza in una università “amica” della Padania.

Il tutto ovviamente con destrezza fantozziana, tanto che pare che al consolato italiano a Tirana (organo deputato a rilasciare un documento fondamentale come “la dichiarazione di valore“) se ne fossero accorti da tempo, congelando la pratica.

<%image(trotaalbania.jpg|1280|768|renzo bossi laurea albania tirana)%>

(cliccare per ingrandire l’immagine)

Sprechi ? Quali sprechi ?

Titoli di apertura sui quotidiani online perchè il governo in fondo ad una pagina interna sulla “spending review” ha messo un link al vecchio modulo dei contatti di Governo.it ? Mucchi di tweet sul tema “segnala online gli sprechi al governo” e Beppe Grillo che ci fa un post.

Fermate tutto che voglio scendere.

Grecia e suicidi: fact checking

Non fare la fine della Grecia” è un argomento che in questi anni i governi italiani (politici e tecnici) hanno agitato spesso e volentieri davanti all’opinione pubblica prima di varare manovre o imporre sacrifici.

La Grecia è diventata suo malgrado la metafora più efficace dell’orlo dell’abisso, il confine ultimo tra salvezza e disastro.

E’ successo anche ieri quando il Presidente del Consiglio Mario Monti ha evocato un numero: 1.725.

A differenza di altre occasioni, l’economista Monti non stava parlando di prodotto interno lordo, di tassi di disoccupazione, di debito pubblico. Stava parlando di morti.

Di più, stava parlando di suicidi.In queste settimane in Italia il racconto di quelli che potremmo chiamare “suicidi per crisi” è uscito dalle pagine della cronaca di provincia per finire nel dibattito pubblico e politico. E’ successo, come accade spesso nel nostro paese, in un modo curioso e superficiale, con ampia citazione ad esempio di dati che si riferiscono al più tardi al 2010.

Per Monti 1.725 è il numero di suicidi causati dalla crisi in Grecia, una drammatica conseguenza che in Italia possiamo e dobbiamo evitare. Peccato però che 1.725 è una cifra inesistente.

Molto probabilmente il Presidente del Consiglio si riferiva ad un altro numero: 1.727. Un numero che ha una sua storia e un suo significato che si può raccontare brevemente.

Nel settembre 2011 il deputato greco Prokopis Pavlopoulos ha depositato un’interrogazione parlamentare per sapere dal governo quale fosse stato il numero di suicidi nel 2009,2010 e 2011.

Il Ministro dell’Interno gli ha risposto a gennaio 2012. Il testo originale si può trovare spulciando il sito del parlamento ellenico ed è questo. In sostanza 1.727 è il numero complessivo dei suicidi e dei tentati suicidi avvenuti tra il 1 gennaio 2009 e il 10 dicembre 2011. Tre anni.

Sono tutti suicidi e tentati “suicidi da crisi” ?

<%image(suicidigreciadati.jpg|512|273|suicidi grecia dati)%>Konstantinos Fountoulakis fa il professore di psichiatria all’università di Salonicco. Lo scorso marzo ha pubblicato su Lancet (rivista medica internazionale) uno studio dal titolo “Health and the financial crisis in Greece”. In base ai dati ufficiali disponibili (vedi tabella) le conclusioni sono che non è dimostrabile al momento un collegamento causale diretto tra crisi economica e suicidi e che le analisi di giornali e televisioni sono “premature overinterpretations”.

Perchè il suicidio è un avvenimento drammatico, complesso, multifattoriale. E forse sarebbe meglio evitare di utilizzarlo come argomento politico estemporaneo, buttato lì in una conferenza stampa. E se proprio lo si vuole usare, farlo con le dovute cautele e con un po’ di precisione. Perchè in fondo si parla di vita e di morte e non di spread e btp.

Nel 2010 i suicidi e i tentati suicidi in Grecia sono stati 622, in Italia 6.149.

Tenendo conto della popolazione e di una sottostima dei dati ellenici (per questioni culturali) l’Italia ha un tasso di suicidi e tentati suicidi pari al doppio.

Ad Atene forse potrebbero dire: “non fare la fine dell’Italia”.

Crisi e suicidi (infografica)

Premessa doverosa: le storie e i dolori legati ad un suicidio non si possono annullare in una fredda tabella di statistiche. I dati però possono aiutare a capire meglio i confini tra percezione e realtà.

In queste settimane i suicidi connessi alla crisi economica sono usciti dalle pagine di cronaca di provincia per finire nei dibattiti giornalistici e televisivi, fino ad arrivare nelle aule del Parlamento. Antonio Di Pietro qualche giorno fa ha tirato in causa direttamente la coscienza del Presidente del Consiglio, sui cui peserebbero queste tragiche morti.

Per capire se siamo di fronte ad un fenomeno sociale drammaticamente straordinario per il nostro Paese è necessario farsi qualche domanda.

Quante persone si tolgono la vita in Italia ?

Gli ultimi dati ufficiali dell’Istat si riferiscono al 2010 quando si sono registrati 3.038 suicidi e altri 3.101 sono stati tentati.

<%image(suicidi e tentati totali 2001-2010.jpg|646|600|suicidi italia)%> <%image(suicidi e tentatati 2001-2010.jpg|648|600|suicidi causa crisi italia)%>

Quanti di questi suicidi sono avvenuti per motivazioni economiche ?

I suicidi vengono catalogati in base a quanto scritto nei rapporti delle forze dell’ordine. Nel 2010 le “motivazioni economiche” hanno riguardato 187 casi di suicidio e 245 di tentato suicidio. Una percentuale minoritaria. La cifra assoluta è però da approssimare in eccesso perchè circa un terzo di tutti i suicidi non trova nei documenti ufficiali una ragione specifica.

<%image(rapporto suicidi totali ed economici.jpg|843|600|suicidi motivi economici)%> La crisi economica ha fatto aumentare i suicidi in Italia ?

Sì e no. Se si guardano i dati disponibili degli ultimi 10 anni (2001-2010) si nota che i suicidi avvenuti (e quelli tentati) rimangono più o meno costanti nel tempo. Nel 2008 e 2009, periodo di profonda crisi economica i suicidi totali sono inferiori ad anni economicamente più floridi come il 2003 e 2004. E’ vero invece che nel 2008 e 2009 sono drammaticamente aumentati i suicidi legati alle “motivazioni economiche”.

<%image(andamento suicidi.png|642|600|suicidi crisi economica)%> E oggi ?

Non ci sono dati ufficiali nemmeno per il 2011* e quindi per analizzare questi primi mesi del 2012 bisogna scorrere le rassegne stampa. Un metodo senza un’affidabilità certa ma che può almeno dare un’idea di massima: probabilmente il 2012 non vedrà aumentare il numero di suicidi rispetto agli scorsi anni e allo stesso tempo potrebbe registrare un numero inferiore al 2009 per quelli con motivazioni economiche.

In tutti i casi, sempre davvero troppi.

*gli unici dati ufficiali sono quelli dei tanti morti suicidi in carcere: 66.
Sullo stesso argomento:

Grecia e suicidi: fact checking

Il cattivo giornalismo sui suicidi

Giornalista o boscaiolo ?

Un paio di “ricerche” uscite in questi giorni negli Stati Uniti :

– tra i dieci peggiori mestieri fa la sua comparsa il giornalista. Quasi quasi peggio del boscaiolo.

– tra le dieci “industrie morenti” degli Stati Uniti ottima prestazione ( si fa per dire) degli editori della carta stampata.

Mentre a queste latitudini si continua a discutere di Ordine.

Mediaset.com: guida galattica per ingenui

La Wipo non è esattamente un covo di rivoluzionari. Del resto un’istituzione che si chiama “Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale” con tutte quelle maiuscole potrebbe mai esserlo ?

Nel 2011 negli uffici della Wipo hanno esaminato 2.764 dispute su nomi di domini . Quasi sempre sono grandi aziende famose che cercano di impedire l’uso del proprio marchio negli indirizzi internet in giro per il mondo a perfetti sconosciuti. Quasi sempre (nel 90% dei casi) la Wipo ha dato ragione a Golia e non a Davide.

Poi è arrivata Mediaset che la scorsa estate si è scordata di rinnovare il dominio mediaset.com che è andato all’asta e a settembre è finito nelle mani della Fenicius LLC, società del Delaware.

A Cologno Monzese non l’hanno presa bene e sicuri del fatto loro ad inizio novembre hanno mandato avanti gli avvocati prima a Ginevra e poi, ad abundantiam, anche alla nona sezione del tribunale civile di Roma.

A Ginevra l’azienda di Berlusconi ha avuto poca fortuna. Ci sono infatti tre condizioni strettamente necessarie da soddisfare per ritornare in possesso di un dominio:

– il nome deve essere identico o molto simile al marchio.
– si deve dimostrare che chi ha registrato l’indirizzo del sito non ha alcun diritto o legittimo interesse a tenerlo.
– si deve dimostrare la “cattiva fede” del registrante.

Senza dimostrare anche una sola di queste condizioni, il dominio rimane dov’è.

Per gli esperti di Ginevra Mediaset non è riuscita a portare le prove della cattiva fede e a quel punto non si sono messi nemmeno ad analizzare se il signor Didier Madiba della Fenicius LLC avesse diritto o legittimi interessi a tenersi mediaset.com.

Poi oggi, due mesi dopo, è arrivata la decisione del tribunale civile di Roma contro Madiba e la relativa “inibizione all’uso del nome e del dominio mediaset.com e 1.000 euro di penale per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento“.

Decisione che dal punto di vista pratico non pare avere alcun valore (sito registrato negli Stati Uniti da una società degli Stati Uniti, registrazione convalidata dall’agenzia Onu per la proprietà intellettuale) ma che Mediaset saluta con un roboante comunicato stampa che si conclude con queste parole:

..ciò non toglie che la materia sia diventata un’autentica giungla da disboscare. La strada giudiziaria non può essere la soluzione: richiede alle aziende investimenti economici e intellettuali e contribuisce a intasare la giustizia civile. Ormai il problema ci sembra urgente e lo segnaliamo alle autorità competenti“.

E’ abbastanza evidente, anche ai più ingenui, che Mediaset qui non parla più solo di domini ma sta tirando la volata al tanto desiderato provvedimento dell’Agcom sul tema del diritto d’autore su internet.

E a questo punto forse Didier Madiba non è l’unico che si deve preoccupare.

La parabola di Greg Mortenson

Ieri Steve Bullock (Attorney General del Montana) ha reso pubblici i risultati dell’indagine durata un anno sulla vicenda di Greg Mortenson e del Central Asia Institute.

Il risultato è che il CAI dal prossimo anno dovrà dotarsi di un nuovo consiglio di amministrazione composto da sette membri nuovi di zecca. Di questo consiglio non farà più parte Mortenson che rimarrà come dipendente dell’associazione.

In totale l’autore di “Tre tazze di tè” dovrà restituire al Central Asia Institute 980.000 dollari per spese di viaggio e diritti sui libri.

Visto che 420.000 li ha già versati nel 2011, il conto si riduce a 560.000 dollari che Mortenson però oggi non ha.

Gli sono stati concessi tre anni di tempo e dovrà ipotecare le sue proprietà.

Rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per cambiare

E’ partita la campagna dell’industria video-musicale per ottenere dall’Agcom (in scadenza) l’approvazione del regolamento sul diritto d’autore online.

A quanto pare la strategia prevede, oltre ad un corposa attività di lobbying a livello governativo e parlamentare, anche la conquista “dei cuori e delle menti “ a colpi di spot.

Se qualche anno fa si puntava sui toni intimidatori nei confronti dei consumatori (“scaricare è come rubare”) oggi si assoldano i bei nomi della musica leggera e d’autore italiana e si sceglie come bersaglio grosso quei “motori di ricerca e social network” che si opporrebbero al varo della normativa e ucciderebbero la cultura e la creatività.

Caso vuole che lo spot sia stato caricato e diffuso dagli autori su uno di questi efferati killer della cultura meglio noto come Youtube.

Detto questo, a me vedere Franco Battiato leggere i gobbi con le sciocchezze colossali scritte e ripetute da anni dai consulenti dell’industria audio-visiva ha messo un po’ di tristezza. Un po’ tanta.

Astroturfing da crociera

La paura è già finita… le crociere fanno il pieno” titola “Il Giornale“.

Costa, nonostante gli incidenti prenotazioni in aumento” chiosa “La Repubblica“.

Quelli di Costa Crociere sono anche da capire, vista la situazione. Però almeno si mettano d’accordo con la “casa madre” che non più di due settimane fa dava dei numeri un po’ diversi : 80-90% in meno di prenotazioni nel primo mese dopo l’incidente della Costa Concordia e 40-50% a marzo.

Tibet : immolazioni, foto e spam

Sono critiche le condizioni di Jamphel Yeshi, esule tibetano di 27 anni che ieri si è dato fuoco a Delhi come estremo gesto di protesta verso il governo cinese.

A differenza delle auto-immolazioni che sono avvenute in Cina, di quella di Jamphel Yeshi (avvenuta in India) esiste un’ampia e tragica documentazione video-fotografica.

Intanto è ripresa su Twitter l’intesa attività di spam anti-tibetana di hashtag come #tibet e #freetibet.

Occupazione

Ignoravo l’esistenza dell’industria “del posto in fila” e del relativo mercato del lavoro. Invece basta cercare linestanding.

Se vi manca internet in Papua Nuova Guinea

<%image(velocita-adsl.jpg|901|655|velocità adsl papua nuova guinea)%>Nel caso un giorno vi venga voglia di fare il salto grosso e trasferirvi dall’altra parte del mondo su un’isola nel Pacifico, non statevi a preoccupare troppo: secondo Net Index in Papua Nuova Guinea l’adsl va più o meno come in Italia.

(cliccare per ingrandire immagine)

Kony2012: la verità non basta

I miei due centesimi sulla faccenda kony2012.

I fatti. Tre allegri ragazzi californiani nel 2003 partono per il Sud Sudan e finiscono, come spesso accade, ad appassionarsi ad un’altra storia e ad altre persone: l’Uganda e i bambini soldato. Ne viene fuori un documentario e una ONG. Niente di straordinario. Nel 2012 (ossia adesso) dopo nove anni di attività ottengono una visibilità globale grazie ad un video su Youtube.

Un nome. Grazie a Kony2012 molti milioni di persone oggi sanno chi è il criminale di guerra Joseph Kony. Non dico la casalinga di Voghera, ma molte persone. Non ci si può lamentare.

Il film western. L’approccio alla questione Uganda è molto americano, nel bene e nel male. Qualcuno dice colonialista, ma forse esagera. Diciamo hollywoodiano.

Per raccontare la loro storia quelli di “Invisible Children” avevano bisogno di buoni e cattivi. Il bianco e il nero. Le sfumature di grigio di cui spesso la realtà è fatta non funzionano molto bene nelle campagne di mobilitazione. E nemmeno nel marketing, anche se “sociale”. Da questo punto di vista Joseph Kony è il cattivo perfetto (per il ruolo dei buoni invece il casting in Uganda è un po’ più complicato).

Le pulci e le tazze di Tè. La visibilità si porta dietro molta responsabilità. Devi aspettarti che qualcuno ti faccia le pulci un po’ su tutto: dalle esagerazioni, alle foto improvvisate, ai bilanci pasticciati.

I precedenti non mancano. Da questo punto di vista la vicenda di Greg Mortenson è un esempio purtroppo perfetto.

Perchè per Kony2012 forse vale quello che dicono in quel film di Hollywood: a volte la verità non basta, a volte la gente merita di piu’, a volte la gente ha bisogno che la propria fiducia venga ricompensata.

L’effetto dell’Oceano di Saggezza

Partiamo dalla fine: del destino del Tibet e dei tibetani non importa a nessuno. O quasi.

Non importa alla comunità internazionale, perchè i tibetani a stare larghi sono rimasti in 6 milioni e la Cina è a quota 1 miliardo e trecento milioni di abitanti con relativo Pil.

Non importa più di tanto ai media, perchè con tutta questa non-violenza non ci si fanno i titoli in prima pagina. Ecco, magari se aumentiamo il numero di immolazioni e riusciamo a procurarci qualche foto, una undicesima pagina “sezione esteri” o venti secondi dopo il servizio sull’accoppiamento dei pinguini della Patagonia lo strappiamo.

Ad occuparsi di Tibet è rimasta la diaspora tibetana, Richard Gere e quei colossali rompiballe dei Radicali che, da che mondo e mondo, se intravedono una causa persa ci si infilano a testa bassa.Radicali che sono riusciti in questi giorni di anniversari a far approvare in qualche decina di Consigli Regionali una mozione pro-Tibet con esposizione di bandiera annessa.

Anche la Regione Emilia Romagna ha approvato all’unanimità una risoluzione pro-Tibet questa volta presentata dal Partito Democratico. Per risparmiare tempo ed energie hanno copia-incollato la mozione della Camera dei Deputati dove si impegnava la giunta a “sollecitare il Governo, nel quadro dell’imminente Vertice UE-Cina, ad un passo formale affinché nella Repubblica Popolare Cinese vengano immediatamente interrotte le violenze nei confronti della popolazione e dei religiosi tibetani”.

Lodevole.

Al vertice Ue-Cina ovviamente nessuno si è azzardato a parlare di Tibet per ragioni abbastanza note, ma lo sforzo dell’Assemblea Regionale sarebbe stato comunque vano: il vertice si è svolto il 14 febbraio, la risoluzione l’hanno approvata il pomeriggio del 28 febbraio. Alle volte si sottovalutano le insidie del copia-incolla.

Perchè in Italia la vicenda tibetana è ormai diventata un esercizio sopraffino di paraculaggine.

Prendete la più grande azienda di questo paese.

Nel 2008 per la pubblicità della Lancia il gruppo Fiat arruolò Richard Gere e confezionò uno spot con un sacco di monaci, yak, montagne, la copia sputata del Potala di Lhasa e il riflesso del sosia di Tenzing Gyatso (al secolo il 14° Dalai Lama). Non lo ricordate ? E’ questo.

Qualche giorno dopo all’ufficio stampa della Fiat tocco pubblicare con urgenza un comunicato.

Avevano fatto uno spot ambientato in Tibet con il più noto attivista pro-Tibet al mondo e adesso dovevano chiedere scusa alla Repubblica Popolare Cinese: “Il Gruppo Fiat riafferma la propria neutralità in merito a qualsiasi questione politica, sia essa nazionale o internazionale”. Scusateci era solo marketing, del Tibet sinceramente non ce ne sbatte nulla.

Poi c’è la gara, a tratti commovente, ingaggiata dai diversi Presidenti del Consiglio nell’evitare incontri anche fortuiti con il Dalai Lama. Pensare che l’ultimo ad incrociarlo fu Berlusconi nel 1994 non mette certo di buon umore: chissà che idea si è fatto il povero Tenzing. E sopratutto che barzelletta gli avrà raccontato Silvio nostro ?

La vicenda tibetana sul piano diplomatico è ormai ridotta a farsa. I tibetani sono buddisti e i buddisti stanno simpatici all’opinione pubblica occidentale (mica come quei disgraziati di Uiguri che tra l’altro sono musulmani). D’altra parte i cinesi sono piuttosto sensibili sul tema. Che si fa ? Tendenzialmente quelli furbi che, un colpo qui e un colpo là, badano al sodo ovvero al portafoglio. Qualche tempo fa uno studio di una università tedesca ha stimato “l’effetto Dalai Lama”: nei due anni successivi all’incontro con l’Oceano di Saggezza la nazione ospitante perde esportazioni verso la Cina con percentuali stimabili tra l’8 e il 17%.

E quindi vanno bene le risoluzioni, le bandiere, i sit-in e i gesti simbolici (anche scemi, come tendenzialmente quelli dello scrivente), ma il Tibet è una faccenda dannatamente importante e complessa che ci riguarda da molto vicino.

Non è solo questione di geopolitica o di risorse. E’ molto di più.

Il popolo tibetano così geograficamente e culturalmente periferico è un granello di sabbia come molti altri.

Ma è un granello che ha la forza di inceppare una macchina gigantesca.

Riconoscere una qualche forma di autonomia alle comunità tibetane sparse nell’immenso altipiano (la maggior parte degli scontri si concentra oggi fuori dalla Regione Autonoma del Tibet) vuol dire innestare nel cuore di una nazione con 56 etnie il virus della democrazia.

Un virus pericoloso.

Quello che ci dicono quei ragazzi e ragazze, spesso giovanissimi, che si danno fuoco in mezzo ad una strada è che non tutti sono disposti ad accettare il progresso senza diritti, il benessere senza la libertà.

E’ un concetto che può mandare a gambe all’aria la Cina come fabbrica del mondo e sgretolare il teorema su cui si regge: sviluppo e ricchezza senza diritti.

Roba che fa tremare i polsi.

E non solo ai cinesi.

Cosa ci dicono i coyote del Canada

<%image(lupi.jpg|720|540|newdoundland coyote canada)%>Poco fa, casualmente, la mia attenzione è stata catturata da una foto condivisa su Facebook.

E’ l’immagine qui a lato.

Se ne trovano a migliaia in Rete e sui social network nelle campagne animaliste, o contro la caccia, o contro il maltrattamento di cani o altre specie.

Ma proprio questa sua “normalità” è forse utile per qualche riflessione sparsa che con l’animalismo o la caccia hanno poco a che fare.
Una foto, mille parole. Un’immagine si porta dietro una storia e molte parole. Parole che servono a spiegare meglio. Perchè l’apparenza alle volte inganna. Quando in Rete ci si imbatte in un fatto o in una foto “strana” occorre sempre un principio di precauzione. Le bufale sono sempre dietro l’angolo. E’ bene in questi casi farsi delle domande semplici: chi, cosa, quando, dove, perchè.

Le bugie hanno le gambe corte, ma sette vite. Le bufale trovano su internet veloce diffusione, ma la Rete ha strumenti efficaci per ricostruire i fatti nel modo corretto, basta un po’ di volontà e buon senso.

Quelli che ci mettono la faccia. Molti in buona fede (altri in pessima) hanno sostenuto in questi anni che l’anonimato su internet non favoriva una discussione pubblica corretta e civile. L’avvento di Facebook ha dimostrato innumerevoli volte che metterci la faccia non migliora la qualità. Anche nel caso della nostra foto troviamo centinaia se non migliaia di insulti pesanti, auguri e minacce di morte firmati con nome e cognome.

Fanno dei giri immensi e poi ritornano. I percorsi in Rete di una foto, una notizia, un tweet o un qualsiasi pezzo di bit sono davvero imprevedibili. Tenerlo a mente quando si decide di condividere qualcosa su internet è una buona cosa.

Prima i fatti. Accertare come stanno in realtà le cose e poi discutere dovrebbe essere la normalità. Discutere di qualcosa su fatti inesistenti o inesatti è uno spreco di energie e intelligenza.

E veniamo alla nostra benedetta foto e alla sua storia.

E’ stata postata venerdì sera su una pagina dedicata alla Sardegna. Fino a questo momento (domenica 4 marzo primo pomeriggio) è stata condivisa da circa 2.300 persone e commentata da 5.200.

Non ritrae, come quasi tutti pensano e commentano, una strage di lupi ma la cattura di una ventina di coyote nell’isola di Newfoundland in Canada. (Terranova per intenderci).

La caccia anche con trappole (come in questo caso) del coyote è permessa e ampiamente regolamentata dalle autorità per mantenere un certo equilibrio nell’ecosistema. Serve una licenza, si può cacciare solo in determinate stagioni (20 ottobre – 1 febbraio), si fanno corsi, sono proibiti alcuni tipi di cattura.

Dalla metà degli anni ottanta l’eastern coyote (che è più grosso dei normali coyote) è stato oggetto di diversi studi e monitorato. E’ per questo che alcuni esemplari della foto sono dotati di radiocollare.

Ovviamente davanti alla foto ognuno, secondo la propria sensibilità, è libero di indignarsi. Ma per la morte dei coyote e non per i lupi.

Nell’isola di Newfoundland il lupo è stato dichiarato estinto nel 1930.